Il diario di viaggio
Amuleti
9 settembre
All’imbrunire, frotte di piccoli pescherecci lasciano il porto di Xerocampo alla spicciolata. Per noi, é una conferma. Ci sarà bonaccia. Peccato, perché questa settimana il vento si é manifestato proprio poco. È molto indaffarato a soffiare gagliardo sui nostri amici di Cautha che, per evitare l’infido Meltemi, si erano “prudentemente” rifugiati nel Peloponneso dove Eolo li ha inseguiti e investiti con un paio di trombe d’aria. Nella prospettiva di fare nuovamente convergere le nostre rotte in autunno, visto che ci mancano le risate di Antonella e le serenate di Stefano alla chitarra, ci stiamo equipaggiando con amuleti e scaccia iella d’ogni sorta : ferro di cavallo, cornetto rosso, occhio di Allah, mano di Fatima e santini vari.
Romano
Tac, bzzz
7 settembre
La sesta é entrata nella sua sede. Ancora un quarto di giro con il cacciavite e ci siamo. Ecco fatto, l’elica di prua é rimontata. Riemergo e con l’erogatore ancora in bocca confermo a Luana : “ok”. Avevamo temuto il peggio. Entrando in porto a Patmos abbiamo calato l’elica di prua per la manovra. Tac, bzzzz. Questi rumori li avevamo già sentiti alle Vanuatu, quando l’elica si era inabissata. Anche stavolta é partita. Un colpetto di marcia avanti, poi riprendiamo la retromarcia; l’ancora é già sul fondo. Pazienza, faremo a meno dell’elica di prua. Ormeggiamo con facilità, vista la scarsità di vento. Mentre Elvis parte a cavallo di un quad per esplorare l’isola, noi valutiamo il guasto. Con l’assistenza in superficie di Luana che mi segue sul gommone per evitare che qualche barca in arrivi mi cali addosso l’ancora, mi immergo nella brodaglia torbida del porto per cercare l’elica. La mia solita fortuna mia esiste anche stavolta. Seguendo la catena arrivo all’ancora, a circa sette metri di profondità. Palpeggio un raggio sempre più ampio finché, adagiata sul fondo melmoso, la scorgo. Le viti bianche in nylon risaltano. Esulto. Non avremmo potuto procurarci un’elica di ricambio prima di ottobre. La riporto in superficie e Luana esclama “mio eroe”. Tempo mezz’ora ed é rimontata. All’ora dell’aperitivo serale ripensiamo alla nostra partenza, cinque anni fa. Un incidente del genere ci avrebbe scoraggiati e messi in ansia. Oggi é solo una seccatura. Finché la barca galleggia, un rimedio si trova sempre.
Romano
Una vecchia conoscenza
8 settembre
Gran fermento a Hiva Oa. Gli indigeni indossano i tradizionali costumi tribali e si affrettano ad allestire, lungo il piccolo moletto d’attracco, improvvisate bancarelle dove espongono tutto quel che si può vendere. Collane di perline, oggetti di legno e osso intarsiati, conchiglie, ceste, cappelli di foglie di palma, rostri di pesce spada decorati, frutta fresca.
Seduti al caffè chiediamo incuriositi cosa stia accadendo. Arriva “The World”, ci rispondono. “Una nave da crociera carica di ricconi americani”, precisano. Attendiamo, per assistere al singolare sbarco. Trascorsa mezz’ora, ecco profilarsi all’orizzonte la sagoma della nave che getta l’ancora, proprio di fianco ad A Go Go. Poco dopo, alcune scialuppe a motore si avvicinano al molo, in attesa del loro turno per sbarcare il carico di opulenti americani, perlopiù donne anziani, ingioiellate e visi dipinti con spessi strati di cipria, pesanti ombretti colorati e vistosi rossetti. Nel frattempo, gli indigeni si affrettano ad inscenare un piccolo spettacolo.
Il suono di una conchiglia ci ricorda il corno delle alpi; al ritmo dei tamburi le danzatrici scatenano il loro lato b ricoperto di foglie vibranti. I turisti non stanno più nella pelle, scattano foto a raffica. Alcuni danno subito sfogo alla frenesia degli acquisti. Chi compera arco e frecce, chi una maschera di legno intarsiati, chi una enorme conchiglia. C’é anche chi si lascia intenerire da alcuni bambini che - forse emuli dei loro genitori - hanno deposto su una stuoia di paglia alcuni pezzetti di legno e sassolini colorati. Ad ogni vendita si illuminano.
Due signore con enormi cappelli a larghe falde si accomodano al tavolino di fianco al nostro. “Da dove venite ?” chiediamo, giusto per dare avvio ad una ospitale conversazione. “Non lo sappiamo” rispondono leggermente imbarazzate. “Qual’é il vostro prossimo scalo?” “Dovremmo chiederlo al comandante”, duplicano ancor più a disagio. Allora deviamo la conversazione sul tempo, un po’ sorpresi del fatto che vi sia gente in viaggio che non sa da dove viene, dove si trova, né dove andrà. Nulla di sorprendente. The World é in realtà una nave in multiproprietà, una specie di condominio galleggiante dove i passeggeri sono anche comproprietari delle loro cabine/appartamenti. Perlopiù ricche vedove che vivendo a bordo di una nave sfuggono agli appetiti del fisco statunitense.
Non credevamo ai nostri occhi, stamane, quando entrando nel porto di Patmos ci siamo imbattuti in The World all’ancora ed abbiamo incrociato le scialuppe a motore cariche di vedove allegre ingioiellate al riparo di grandi cappelli.
Romano
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