8 giugno
Pochi passi sulla terraferma ci bastano per capire che le Eolie non hanno nulla da invidiare a destinazioni ben più famose. Le vedute sono davvero spettacolari, la vegetazione rigogliosa, il mare cristallino, la gente simpatica e accogliente.
Noleggiato un fuoristrada di fabbricazione indiana, l’orco al volante non sta più nella pelle. Si sente alla Parigi-Dakar. Occhi vispi, sorrisetto complice, mani saldamente incollate al volante, insomma, espressione da “diavolo della Tasmania”, ed ecco che il pienone va giù pesante sull’acceleratore. Sobbalziamo tra i solchi del cratere sollevate un nuvolone di polvere dietro di noi. La sua dolce metà, Antonellina (che lui - chissà perché - irriverentemente chiama a volte “cinghialona”), nonostante i dolori reumatici, effettua delle acrobatiche entrate e uscite laterali dal veicolo per non lasciarsi sfuggire scatti che potrebbero interessare il National Geografic. Poi, però, tutti i nodi vengono al pettine al momento di salire al cratere del vulcano. Un primo tentativo di ascesa viene abortito sul nascere. A Luana - fatti pochi passi - si scolla la suola delle infradito. Una patetica riparazione avvalendosi di una fettuccia trovata nello zaino, suscita l’ilarità generale. Così, si torna alla barca per attrezzarsi convenientemente. L’equipaggio di Cautha si munisce pure di bastoncini da walking. Calzando scarpe adatte (?) attacchiamo l’aspro pendio. Poco dopo si crea un notevole distacco fra l’equipaggio di A Go Go e quello di Cautha. Quest’ultimo, messosi a dieta perché osservando attentamente le foto della recente escursione in kayak, ha scoperto la propria “buddhità” a livello addominale, non ha pranzato, per cui esaurisce molto presto le riserve di energia e rimane indietro arrancando trafelato. Ad ogni modo, stringendo i denti, si arriva tutti sul ciglio del cratere da dove gustiamo lo spettacolo del paesaggio fra i vapori magici delle fumarole. L’avventura odierna assume però contorni tragicomici al momento della discesa. Le parti basse dell’orco (talloni e ginocchia, cosa pensavate ?) vengono messe a dura prova. Per come la racconta le ginocchia pare si siano deteriorate durante la guerra di Abissinia nel corso di eroiche operazioni di infiltrazione dietro le linee nemiche. Meno epico il dolore ai talloni, semplicemente riconducibile ai sassolini di ossidiana del vulcano che come punte di frecce acuminate si conficcano nelle carni che calzano prestigiosi sandali. Curiose imprecazioni in dialetto siculo-bolognese e strazianti lamenti tipo ululati scandiscono la discesa come un mantra, ritmato dallo stridio dei bastoncini svogliatamente trascinati dal nostro “orco di zolfo” sulla lava vulcanica. Abbiamo soltanto potuto immaginare l’ampio ventaglio di terapie, dalle più tradizionali (tipo pediluvio) alle più futuristiche (con aggeggi ipertecnologici a raggi gamma presenti su Cautha) siano state impiegate per lenire i dolori agli arti inferiori di Stefano e Antonella. Per una quindicina di ore sono scomparsi sotto coperta senza più dare alcun segnale di vita. E con questo resoconto volge al suo epilogo la trilogia dell’orco che, a tutela della sua onorata reputazione, ci ha ormai diffidati dal render conto in futuro delle sue epiche gesta. Antonella sembra invece intenzionata ad utilizzare qualche spunto per scrivere un libro per bambini.
Romano